«È durissima.»

Nadine Stohler racconta della vita con l’insufficienza renale cronica

All’età di quattro anni, a Nadine Stohler è stato diagnosticato un importante danno renale. Di seguito racconta come ha affrontato la malattia.

Autore: Dr. phil. Bernhard Spring

Nadine Stohler aveva quattro mesi quando si sono manifestati i primi sintomi di una malattia renale. Il sangue nelle urine fece spaventare sua madre, che tuttavia sperava si trattasse solamente di una malattia lieve. «Ci è voluto molto tempo per trovare un pediatra che prendesse sul serio le sue preoccupazioni e che, con un semplice esame delle urine, constatasse un’infiammazione delle vie urinarie», afferma Nadine Stohler grazie ai racconti di sua madre. «Sono seguiti esami approfonditi e alla fine la diagnosi fu peggiore di quanto ci si aspettasse.»

Nadine soffriva di una malformazione congenita dell’uretere. L’urina non riusciva a defluire correttamente attraverso l’uretere. Dalla vescica l’urina veniva respinta verso i reni, portando a un ristagno nei bacinetti renali, dove si sviluppavano costantemente infiammazioni che avevano già ampiamente danneggiato i reni. «Un intervento non ha avuto gli effetti sperati», afferma Nadine Stohler. «Successivamente sono stata tenuta sotto stretta osservazione. Quando si presentava un’infiammazione, veniva subito trattata con antibiotici.»

Tra l’aiuto e il rifiuto

Nadine Stohler è cresciuta con la consapevolezza di essere diversa dagli altri. Quando le compagne di classe andavano a nuotare dopo la scuola, lei non poteva unirsi a loro. Il rischio di un’infezione era troppo elevato. Il fatto che dovesse attenersi a una dieta a basso contenuto proteico e di sale per salvaguardare i reni, non venne compreso a scuola. «A una persona non viene mai offerto così tanto cibo come quando non può mangiare. Oggi forse si parlerebbe di mobbing», afferma Nadine pensando al passato. «Tuttavia, le varie limitazioni non mi disturbavano davvero, del resto non avevo altra scelta.»

A casa i genitori parlavano liberamente della sua malattia. «Mia madre mi ha spiegato che la situazione era seria, ma mi ha sempre dato la speranza che un giorno sarebbe migliorata. Inoltre, ha ritenuto importante favorire la mia indipendenza e responsabilità personale. Dopotutto, nessuno poteva far sparire la mia malattia.»

Inizialmente sembrava che Nadine Stohler potesse tenere sotto controllo la malattia renale. Nonostante una funzionalità renale del 14%, completò la formazione per diventare tecnica di laboratorio di biologia farmaceutica e iniziò a lavorare. Quando a 20 anni iniziò a sottoporsi a dialisi, riuscì a conciliare il lavaggio del sangue con gli orari di lavoro.  Ma la sua vita privata ne risentì. «La dialisi rende la malattia visibile e molti ne sono intimoriti», afferma Nadine. «E quando il desiderio di avere dei figli è diventato tema di discussione, il mio ragazzo di allora mi ha lasciato.» Nadine avrebbe voluto avere dei figli, ma non è stato possibile a causa della dialisi. Dopo il trapianto di reni, il timore di complicanze durante la gravidanza l’ha dissuasa. «Quali sarebbero state le ripercussioni dei medicamenti sul bambino? Il tessuto cicatriziale nella mia pancia avrebbe potuto supportare una gravidanza? Cosa sarebbe accaduto se la funzionalità del mio rene trapiantato fosse peggiorata e io fossi dovuta tornare in dialisi? Non sarei potuta essere abbastanza presente per mio figlio. Nel peggiore dei casi sarebbe dovuto crescere senza madre. Non volevo tutto ciò.»

Organo del donatore e dialisi

Dopo due anni ottenne finalmente l’organo di un donatore. Tuttavia, i medicamenti che avrebbero dovuto evitare il rigetto danneggiarono il rene: l’organo risultò compromesso. Così, Nadine dovette tornare in dialisi. Dato che i tessuti addominali erano stati sovraccaricati dai molti interventi, ora poteva accedere solamente all’emodialisi. Ma si presentavano continuamente delle complicanze. Lo shunt, il «raccordo» per il flusso sanguigno nel filtro della dialisi e di ritorno nel corpo, si ostruiva spesso e si rese necessaria la sostituzione con un catetere permanente. Ben presto, il flusso sanguigno che passava attraverso il catetere non bastava più per un trattamento di dialisi adeguato, e le sostanze tossiche nel sangue si concentravano sempre più.

Ora si ripresentava il tema della donazione degli organi all’interno della sua famiglia. Una donazione da parte dei genitori di Nadine era fuori questione. E lei non voleva un organo di suo fratello. «Nonostante la sua paura per gli ospedali, lui l’avrebbe fatto sicuramente. Ma io non mi sarei mai potuta perdonare se, per esempio in caso di incidente sul lavoro, si fosse danneggiato il suo unico rene.» Suo fratello la aiuta in altri modi, per esempio accompagnandola agli appuntamenti in ospedale oppure occupandosi delle grosse spese. «Spesso le persone non si rendono conto che il problema non riguarda solo l’organo», afferma Nadine. «Si può prestare aiuto in diversi modi.»

Contro i tradizionali modelli di ruolo

A 26 anni Nadine Stohler ha ricevuto il secondo rene. La sua quotidianità e la vita professionale sono diventati finalmente più semplici. Tuttavia, nella vita privata ha vissuto delle delusioni. «Le donne con una malattia cronica hanno più difficoltà a trovare un partner rispetto agli uomini con una malattia cronica», afferma convinta. Ciò ritiene che dipenda anche dai tradizionali modelli di ruolo. «Le donne continuano a essere più predisposte a occuparsi dei figli, della casa e della cura dei familiari rispetto agli uomini. A volte mi è stato addirittura detto che avrei dovuto essere grata di avere un uomo che si prendesse cura di me.» Ora Nadine Stohler si definisce felicemente single. «Sono aperta a una relazione, ma non a qualsiasi prezzo. Preferisco essere sola che in cattiva compagnia.»

A 46 anni ha avuto un infarto. Il rene del donatore, che nel frattempo aveva 20 anni ed era già fortemente indebolito, è stato ulteriormente danneggiato dall’infarto e si è nuovamente resa necessaria la dialisi. A causa dell’infarto e dei medicamenti necessari contro la coagulazione del sangue, Nadine Stohler per molto tempo non ha potuto essere inserita nella lista d’attesa per gli organi dei donatori.

La nuova necessità di dialisi e l’infarto hanno anche fatto sì che Nadine non fosse più in grado di lavorare. Ora riceve una rendita AI.

L’impegno per gli altri

Nadine non si è lasciata sopraffare: dal 2005 la 48enne si impegna nell’Associazione svizzera per pazienti d’insufficienza renale e dal 2009 è presidente del gruppo regionale Basilea. «Ho imparato presto che bisogna lottare per se stessi, perché nessun altro lo farà.» Il suo motto: nessuna discussione su di noi senza di noi. Il suo compito principale nell’associazione è la consulenza alle persone colpite. «Spesso parlo in modo più aperto e forse anche un po’ più comprensibile dei medici, il cui linguaggio specialistico non è sempre semplice», afferma Stohler. «Inoltre, anch’io sono una persona colpita dalla malattia, il che crea un legame più stretto e mi consente di comunicare in modo più diretto.»

Nonostante tutte le vicissitudini, Nadine Stohler ha mantenuto l’ottimismo trasmessole da sua madre. «La vita con una malattia renale cronica non è come in TV: arriva il rene del donatore e tutto fila liscio. No, è durissima e bisogna avere molta pazienza e perseveranza», spiega. «Ma voglio vedere il lato positivo in tutto e godermi la vita. La medicina ha compiuto passi da gigante dalla mia diagnosi. Questo mi rende ottimista per il futuro.»

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